Berchtesgaden: nei tunnel della storia, vacanze al bene del male - La Stampa

2023-02-22 17:55:44 By :

La voce de La Stampa

Verdi muri ammuffiti, stanzette di cemento, scale scoscese dalla corta battuta, fessure inquietanti, buchi e brecce, fili spinati e tubi arrugginiti, deboli luci al neon. Gli infiniti tunnel difensivi di Obersalzberg, chilometri di angoscia sotterranea, tolgono il respiro quasi mancasse l’areazione che invece è sorprendentemente buona; tra le viscere bavaresi ci si muove a strappi e i piedi sono indecisi. La paura di perdersi si accompagna al timore che i tubi dell’aria possano ancora essere invasi dal gas letale, un tempo iniettabile in caso di sconfitta. La segnaletica è assente perché i soldati nazisti di guardia al Fuhrer non ne avevano bisogno e i visitatori di oggi sono comunque guidati e vigilati.

Pare non sia cambiato il nudo arredo dei bui e labirintici corridoi lunghi da 10 a 70 metri e delle stanze-bunker; solo qualche muro di sbarramento che vieta i collegamenti alla terrazza assolata cara ad Albert Speer, ufficiale architetto del dittatore, e a Eva Braun, amante di Hitler e dolce complice del suo riposo montanaro. Per uscire si deve seguire il calpestio di una guida muta e frettolosa che, oltre ai dati numerici sulla lunghezza dei tunnel (6,5 chilometri costruiti a zig-zag, antibomba, da cento soldati che lavorarono giorno e notte per due anni) e su quello delle mitragliatrici di sentinella, non trova il coraggio di dire altro.

Il vuoto della memoria nella Germania del cancelliere Scholz - che causa guerra russo-ucraina ha deciso per la prima volta dal 1945 il riarmo destinando 100 miliardi di euro alla difesa - è presunto e scontato come l’umidità sprigionata dai corridoi. E poi le parole sarebbero retoriche, inutili. Le muffose macchie verdognole che chiazzano i “tunnel della storia” sono come i “geiser” di sangue che esplodono dalle pance ferite dei soldati-protagonisti del film di Steven Spielberg “Save Private Ryan”: coaugulate testimonianze belliche. Fu, è e sarà la guerra. Il futuro è virtuale. Come oggi.

Eppure la perversa curiosità di immaginare la vita bellica nei sottosuoli hitleriani che collegavano quartier generali, depositi di munizioni e residenze private, è invincibile per chi non c’era. Le memorie scritte e cinematografate di Primo Levi, Fred Uhlman, Elie Wiesel, Rudolf Hoss (comandante di Auschwitz) e Alain Resnais non bastano. Già, ma a chi domandare qualcosa sul “capolavoro” militare di Martin Bormann, quel Berghof dove il 15 settembre del 1938 Chamberlain concesse su di un piatto di peltro la Sudetenland a uno stupefatto dittatore? Forse all’unico erede della popolazione evacuata di forza nel decennio nel 1934-43 per costruire il rifugio alpino dei futuri criminali nazisti e che in risarcimento dei danni ha riottenuto nel dopoguerra la vecchia casa paterna, ora unico accesso ai tunnel della storia? Saprà ma non dice, e impedisce di fotografare i buchi più tristi della terra e perfino gli esterni dell’immutato chalet scampato ai bombardamenti americani e inglesi. In fondo anche i suoi genitori furono deportati e uccisi nei lager perché si opposero alla vendita coatta della proprietà; perché mai dovrebbe rispondere?

Le odierne invasioni turistiche portano un po’ di soldi, non le vite perdute. Eppure oggi Berchtesgaden è una località fascinosa per chi ama la montagna. E il Königssee davvero romantico: simile al lago di Carezza ma più potente.

I pieghevoli nel Centro di Documentazione di Obersalzberg istituito nel 1999 sono scarni: non è un museo del gas e della morte come Auschwitz- Così è nell’altopiano bavarese ai confini con l’Austria. In cielo sta il Nido d’Aquila, l’impervia Teehaus (m. 1834) che volle stupire il mondo e che si raggiunge prima lungo la vorticosa “strada privata di Hitler” scavata sui fianchi della Scharitzkehlalm e poi con un ascensore che sale nella roccia per 124 metri.

Chi non c’era può apprezzare le lampade della galleria, e l’ascensore stesso, in stile decò: rigorose geometrie anni Trenta. E senza nemmeno troppi rimorsi di coscienza perché il Fuhrer, che soffriva di claustrofobia, vi salì pochissime volte. Il rifugio vale poco e il panorama è vasto ma senza “picchi” estetici. Suscita però forti valori emotivi e una domanda: con i bombardamenti che subì come mai neanche una bomba centrò il bersaglio? Imprecisioni da Guerra del Golfo e da Guerra Russo-Ucraina. Preciso invece, anche se poco conservativo come quelli di Landsberg e Landshut sempre in Baviera, il restauro della pittoresca Berchtesgaden, la località di montagna che anticipa la visita alle postazioni naziste.

Dominata dall’abbazia barocca, dalla facciata romanica della collegiata e dagli ariosi portici della Schlossplatz è anche una ridente stazione termale circondate da fitte pinete che nascondono le miniere del Salzbergwerk cariche di sale e sfruttate fin dal Medioevo. Le caverne oggi si girano su trenini elettrici e su zattere che attraversano bacini sotterranei e sono più innocenti dei tunnel nazisti tanto che i depliants e i documentari sulla storia dell’estrazione e della produzione del minerale qui abbondano; ma quella del sale è una storia antica.

Non è un caso se dal XII secolo i monaci agostiniani si siano stabiliti in questo fazzoletto alpino dell’Alta Baviera. Erano interessati al commercio del salgemma presente in tutta la regione, anche nella vicina Salisburgo. Così fu per Federico I Barbarossa e per Enrico VI. Dalla fine del Medioevo fino al XVII nella cittadina di Berchtesgaden si sviluppò poi la fabbricazione di giocattoli di legno. Hitler, e in seguito gli ufficiali americani che dopo aver sconfitto i nazisti si accamparono all’ombra del Kehlstein, scelsero invece Berchtesgaden per la spettacolarità del paesaggio, struggente nel romantico Königssee, il lago Reale incastonato nelle rocce scoscese del Watzmann che aveva già stregato Clara Schumann e lo scienziato Alexander von Humboldt. Così al posto dei giocattoli di legno, emigrati nel frattempo a Norimberga, apparvero tra le mura del castello reale dei Wittelsbach altri giocattoli in ferro e acciaio: Panzer, cingolati, mitragliatrici, fili spinati, cannoni.

ARRIVARE In auto da Torino è un viaggio lungo ma panoramico soprattutto nella seconda parte: 700 km e circa 8 ore lungo la E70 e poi E45, via Bolzano, Innsbruck, Rosenheim, Salzburg.

Moderno e di design il Kempinski Berchtesgaden con SPA annessa. In stile alpino-bavarese e gemütlich invece il Vier Jahreszeiten che, in centro, risale al 1876.

Squisite le trote del Königssee alla Seehaus (tel 0049 86521480).

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