La vita dei clochard a Milano. Coperte, libri, solidarietà e cibi caldi: «Così sopravviviamo all’inverno» | Corriere.it

2023-02-22 17:52:49 By : Mr. Jimmy Liu

Abbiamo scollegato in automatico la tua precedente sessione

Puoi navigare al massimo da 3 dispositivi o browser

Per continuare la navigazione devi scollegare un'altra sessione

Da mobile puoi navigare al massimo da 2 dispositivi o browser.

Per continuare la navigazione devi scollegare un'altra sessione.

Attiva le notifiche per ricevere un avviso ogni volta che viene pubblicato un nuovo articolo in questa sezione.

Vuoi modificare le tue preferenze? Visita la tua area personale

Le ultime notizie sulla guerra, in diretta

Salva questo articolo e leggilo quando vuoi. Il servizio è dedicato agli utenti registrati.

Trovi tutti gli articoli salvati nella tua area personale nella sezione preferiti e sull'app Corriere News.

Le storie dei senzatetto finiti in strada tra progetti falliti e traumi. L’aiuto dei volontari Arca

L’assistenza a Vincenzo, 68 anni, in via Hoepli (foto LaPresse/Porta)

«La cosa più difficile del vivere in strada? Il freddo» racconta Salvatore che dorme sotto i portici di via Verri, tra le vetrine spente delle boutique di lusso. Ma per fortuna l’inverno sembra superato e le temperature non dovrebbero più scendere sotto lo zero come le scorse notti. «Il centro città è più sicuro, c’è tanto passaggio. Qui si è riparati dalla pioggia, dalla neve: io m’infilo dentro al sacco a pelo e mi isolo il più possibile dal pavimento gelido». E poi c’è la paura: «Quella interiore, l’incertezza per il futuro, la stanchezza». Cinquant’anni, milanese, fa questa vita da 12. «A causa di una scelta sbagliata: l’ho pagata cara — spiega —. Una volta avevo tanti progetti, andati in fumo. Adesso vivo alla giornata. Per fortuna ci sono i volontari che mi aiutano e mi assistono». Portando bevande e pasti caldi, abiti, coperte, beni di prima necessità. Anche conforto. Vincenzo è più fortunato: «Da cinque anni dormo su una panchina in via Hoepli, ma tra pochi giorni l’Aler mi dà la casa», racconta il 68enne con un sorriso, trascinando un secchio pieno di bottiglie vuote. «Facevo il cuoco, poi ho avuto un incidente in motocicletta e non ho più potuto lavorare». Secondo i dati forniti da Arca, i senzatetto che vivono in strada a Milano sono 500. Molti non vogliono andare nei dormitori «perché sono pericolosi e rumorosi», spiegano. Ivan, 46 anni, ha dovuto lasciare il mestiere di manutentore per problemi fisici: «Dormo all’aperto da quando è iniziato il Covid» rivela il 46enne di Como. Al suo fianco un libro: La ragazza che giocava con il fuoco di Stieg Larsson. «Io sono un tipo solitario... Mi piace leggere e stare per i fatti miei».

Per ripararsi Kevin tutte le sere monta la tenda: «Poi la tolgo alle 7.30 quando ci svegliano i vigili. Sono gentili, comunque», assicura. Varesino, ha 27 anni e vive in strada da quando è scappato da una comunità ancora minorenne. «Non sono solo, però». Con lui c’è il suo cane, Nerone: «Ci siamo adottati a vicenda». Si scaldano l’un l’altro. «Di notte qui scatta la guerra tra i poveri, c’è gente che ruba anche a noi che non abbiamo niente». Luca, responsabile della cucina mobile della Fondazione Progetto Arca onlus, gli porta da mangiare, con anche i croccantini e una copertina per Nerone. «Le associazioni ci assistono, anche dal punto di vista medico e sanitario» assicura Kevin, che ha un piano per il futuro: «Sono in lista per una casa popolare, poi voglio trovare un lavoro: ho fatto un corso da parrucchiere. Per adesso, non mi lamento».

Intanto, in corso Europa si è formata la fila per le lasagne alla cucina mobile, che ogni settimana distribuisce 720 pasti in diversi quartieri della città grazie al lavoro dei tanti volontari che di notte scendono in strada. «Mi piace dare una mano ma anche il fatto che si crea un rapporto con le persone: molte ci aspettano» dice Martina, 31 anni. «L’inverno è stato duro, alcuni amici ci hanno lasciato — racconta, commosso, Fabio, 66 anni —. Come Willy, scomparso da poco. Lo avevamo visto giusto la sera prima. Aveva poco più di 40 anni. Per quanto facciamo non è mai abbastanza, c’è tanto bisogno». Cristina, 65 anni e adesso pensionata, è volontaria da ben nove anni: «Lavoravo qui in centro e ogni sera vedevo tante persone dormire all’aperto. Mi sono sempre domandata come mai facessero questa scelta. Dalla mia esperienza posso dire che c’è sempre una storia dolorosa, un trauma alle spalle». Come chi ha vissuto separazioni drammatiche e poi ha perso anche il lavoro. Oppure chi ha subito la terribile scomparsa di una persona cara, come la moglie o un figlio. «Di solito — conclude la volontaria — hanno bisogno di parlare, di confidarsi, quindi è importante esserci sempre. Quando torno a casa ho sempre tanto dispiacere nel vedere tutte queste persone negli angoli della città all’addiaccio. Però mi sento anche arricchita perché ho portato un po’ di sollievo».

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Milano e della Lombardia iscriviti gratis alla newsletter di Corriere Milano. Arriva ogni sabato nella tua casella di posta alle 7 del mattino. Basta cliccare qui.

Notte all'addiaccio nella speranza di conquistare un posto per l'identificazione. Qualcuno tenta di saltare la fila e interviene la polizia