I più la conoscono come “Casque d’Or” ma è stata battezzata col nome di Amélie Élie. Corre l’anno 1878 quando questa giovane donna d’Orleans – che con la ben più casta e compassionevole Giovanna d’Arco condivide soltanto la città d’origine – vede la luce, il 14 marzo, in una piccola ma decorosa stanza di uno stabile poco distante al centro della cittadina.
È figlia di genitori poverissimi costretti, di lì a breve, a spostarsi dal tranquillo capoluogo della Loira verso la periferia nord-ovest di Parigi, in cerca di fortuna.
Tra gli ultimi “arrondissement” della capitale francese, incastonata tra il 19° e il 20°, si trova il quartiere di Belleville, un antico villaggio rurale annesso alla capitale solamente nel 1870. Pensate che ad oggi è considerato il più cosmopolita di tutti gli arrondissement; interrazziale, giovanile e trendy, rappresenta l’emblema della multiculturalità nella sua pluralità di tradizioni, ospitando, da quasi due secoli, popoli molto lontani tra loro.
Qui ebrei, mussulmani, cattolici e buddisti convivono pacificamente, condividendo strade e condomini senza battere ciglio. Non è un caso che, nel 1985, lo scrittore Daniel Pennac c’abbia ambientato i suoi celebri romanzi di Malaussène. E trattasi anche dello stesso quartiere famoso per aver dato i natali all’immensa Edith Piaf, uno degli orgogli della nazione.
La nostra Amélie vive in questo stesso pezzo di città soltanto pochi anni prima della nascita dell’usignolo di Francia, in un’epoca in cui Parigi ha fama di essere una delle capitali più libertine di tutta Europa: la Belle Èpoque.
Gli uomini e le donne della cosiddetta “Ville Lumiére”, infatti, non hanno più interesse a nascondersi dietro alla moralità: il desiderio di trasgredire, di ricercare la passione tra le braccia del primo sconosciuto, fa anch’esso parte di quella maniera – soltanto apparentemente frivola – di celebrare la rinascita di una società all’avanguardia, con i suoi progressi tecnico-scientifici e la diffusione di movimenti artistici e culturali nuovi e stimolanti.
Tuttavia, non mancano alcuni aspetti negativi che gettano delle ombre su quello che è considerato il periodo più sfavillante della capitale più popolata d’Europa. Tolte le tensioni politiche che porteranno, di lì a poco, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, è doveroso sottolineare che all’interno della società parigina si era ormai venuto a creare un grosso divario tra i cittadini più abbienti e i membri delle classi sociali meno fortunate, come contadini e operai. E che, all’inizio del novecento, era proprio Belleville il cuore della Parigi proletaria, dove gli episodi di criminalità erano all’ordine del giorno.
È qui che si trasferisce la famiglia Élie, delle cui dinamiche la nostra non ha mai raccontato granché, se non che fossero terribilmente poveri e a stento riuscissero a mangiare. Ma Amélie, che nel descriversi si è sempre definita una gran brava ragazza – je suis bonne fille! – sin da subito si da da fare, anche se ha solo dieci anni quando, dalla tranquilla e pittoresca cittadina di Orleans, si ritrova a sgomitare in un quartiere/cantiere grigio e iper affollato, dove tutto costa meno ma l’aspettativa di vita dei bambini è sette volte inferiore rispetto alle altre zone della capitale.
E si dà da fare vivendo di espedienti, costringendosi – neanche troppo a malincuore – ad abbandonare il mondo dell’infanzia molto in fretta a favore della ben più remunerativa vita di strada.
Secondo le sue memorie – raccolte e curate dal giornalista francese Henri Frémont nel 1902 – spinta dalla necessità e da una sfrontatezza di fondo che lei stessa si riconosce, a tredici anni decide di scappare di casa per andare a vivere con un operaio quindicenne soprannominato “il marinaio”. Allertati dalla denuncia di alcuni conoscenti, le forze dell’ordine si danno alla ricerca dei due giovani amanti, scovandoli presso il vicino Hotel des Trois Empereurs dove vengono separati con la forza, con Amélie rispedita in famiglia e “il marinaio” dritto in riformatorio.
Ma la ragazza non ha ancora idea di cosa significhi provvedere a se stessi. A quattordici anni perde sua madre e a quel punto si ritrova letteralmente per strada, con un padre assente e zero franchi per potersi pagare un letto, figuriamoci una stanza. Messa alle strette e abbandonato definitivamente il marinaio – con il quale, dopo la “cattura”, aveva continuato a mantenere una comunicazione epistolare – inizia a cercare lavoro e, contemporaneamente, a frequentare una prostituta molto più grande di lei, tale Hélene “de Courtille”.
La donna l’accoglie in casa ma la spinge anche sul marciapiede. È qui che ha inizio la folgorante carriera di prostituta di Amélie Élie: la ragazza capisce che “la vita”, tutto sommato, non è poi così male quando l’alternativa è stare al freddo h24 mentre muori di fame, anche se questa comporta l’aver a che fare con il losco mondo dei protettori, e con quello dei teppisti che la stampa ha intanto battezzato “Tribù di Apache nel Far West”.
In quest’atmosfera da Saloon, in una balera tra Belleville e Place de la République chiamata “La Poumme au lard”, nel 1898 Amélie incontra il secondo uomo della sua vita. Lui si chiama Bouchon e sembra uno abbastanza a posto.
Essendosi stufata dell’attaccamento morboso della sua protettrice/amante – che la sfrutta in tutti i sensi costringendola a subire ogni genere di abuso – coglie la palla al balzo e si getta tanto tra le sue braccia quanto nel suo angolo di marciapiede. Perché è uomo “onesto e generoso” anche Bouchon, di quella generosità che le permette di avere abiti più o meno alla moda, cibo quanto basta e un tetto sopra la testa – come timbrare il cartellino nel più confortevole ufficio della città, trovare ogni giorno una tazza di caffè con la cremina sulla scrivania e andare pure d’accordo col capo. Insomma, chi non lo desidererebbe? – e poi con lui i guadagni sono triplicati!
Tutti questi elementi fanno sì che inizi a vedere la sua professione di prostituta sotto una prospettiva decisamente più piacevole, soprattutto perché adesso i suoi servigi sono considerati i più apprezzati in assoluto di tutta Belleville.
Grazie alla fiducia del suo nuovo compagno, Amélie si sta costruendo la fama di prostituta più desiderata del quartiere, venerata e santificata come una sorta di Giovanna D’Arco degli sporcaccioni – capita spesso che qualche cliente le chieda di pregare assieme la pulzella nazionale prima di dare il via alle danze – grazie alle sue altissime e mai scontate performance sessuali.
Girando per Parigi durante il mio ultimo viaggio, scopro che esiste addirittura una vera e propria “tavola dei comandamenti” dedicata ad Amélie, un modesto elenco delle sue gloriose imprese incise sui famosi Panneau Histoire de Paris. Si tratta di pannelli in ghisa a forma di remo posizionati in diversi punti della città, che hanno lo scopo di accompagnare il visitatore tra personaggi e luoghi che hanno fatto la storia della capitale.
La Élie vi è annoverata come colei che “Forniva sogni agli uomini” e “Sollevava le mogli raccogliendo giovani impiegati frustrati, accogliendoli tra le sue braccia”.
Ciò che si evince da questi particolarissimi promemoria è che, non solo ha svolto un ruolo fondamentale all’interno della società sotto l’aspetto ludico, ma ha pure contribuito a incrementare l’economia del quartiere costituendo, di fatto, “una modalità di circolazione della ricchezza pubblica”!
Insomma, la nostra è una vera e propria eroina dei bassifondi. E questo anche perché, seppur non proprio bella in senso canonico, possiede un innegabile fascino, essendo dotata di un fisico straordinario e di una luminosa (e voluminosa) capigliatura color grano maturo che sarà decisiva per la creazione di quel famoso soprannome con cui i francesi la ricordano ancora oggi: Casque d’Or.
Comunque, a un certo punto l’amante/protettore Bouchon inizia a fissarle tanti, troppi “appuntamenti”, diventando sempre più esigente. Inoltre è tremendamente geloso, e violento. Dopo qualche mese dal loro primo incontro, mentre si trovavano in strada e lui la sta rimproverando accusandola di prendersi troppo tempo per se stessa oltre l’orario di lavoro, l’uomo inizia a prenderla a pugni davanti ai passanti, e lo fa tanto forte che Amélie è costretta a liberarsi dello strettissimo corsetto in pubblico, sbandierando le sue grazie ai quattro venti – cosa che non le crea più di tanto disagio – quindi scappare in casa, dove fa in fretta e furia armi e bagagli per poi prendere la porta e allontanarsi per sempre, alla ricerca di un posto in cui possa sentirsi più al sicuro.
Se ne va di giorno, sperando di dare meno nell’occhio. Ed ecco che durante la fuga incontra il primo dei due personaggi più importanti di questa storia: Joseph Plaigneur. Conosciuto come “homme” per la risolutezza dei modi, e con il soprannome “Manda”, Joseph è orfano di padre e convive con una madre gravemente malata, il che lo porta a doversi reinventare ogni giorno per provvedere alle sue cure.
Viene assunto come apprendista lucidatore ma presto è chiaro che, più che quello che succede in bottega, gli interessa ciò che accade fuori, dove ad attenderlo ci sono le sue amate storie balorde e molti degli amici d’infanzia, diventati intanto scassinatori o scippatori.
Predilige passatempi pericolosi Manda, compagnie popolate da fuorilegge e raduni clandestini. Poiché eccessivamente “chiassosi”, attirano immediatamente l’attenzione della stampa locale, che li definisce “esseri primitivi che contaminano il quartiere come i Pellerossa contaminano le praterie”.
Quando conosce Amelie, guadagna molto meno della donna e questo basta per convincerlo definitivamente a lasciare il suo apprendistato per entrare in una banda. L’ascesa è velocissima: presto Joseph si guadagna il soprannome di “Roi des Apaches” e diventa il capo del gruppo dei “Les Orteaux” (“I Caraibici”) . La relazione tra i due giovani non si rivela però priva di turbolenze, poiché Amélie non ha certo smesso di andare a letto con uomini e donne, e non solo “sul lavoro”.
Di tanto in tanto, il Manda è costretto ad andare a recuperarla presso casa di Tizio o Caio, dove inevitabilmente scoppia una rissa che si conclude con la semina di feriti vari. Dopo tre anni dall’inizio del loro turbolento amore, mentre si trova poco distante da Belleville – precisamente a Charonne – Amélie conosce anche il secondo e ultimo personaggio clou di questa storia: il corso Dominique Francois Eugéne Leca. Rettifico, il bellissimo Dominique Francois Eugénie Leca, che è ben più affascinante del “buon” Manda, e qui vi invito a osservare le foto in questo articolo. La donna gli fa una corte spietata, e non le importa che sia fidanzato con Germaine – per gli amici “Pantera” – un ex cameriera nota per avere un carattere non proprio condiscendente.
Amélie adora la rudezza di Leca e vuole prenderselo a tutti i costi. Come racconta un cronista di “Le Matin” il 20 dicembre del 1901, riferendosi all’uomo rispetto a un fatto eclatante che vi riporterò a breve, e alla sua nuova amante prostituta: “È già un fatto curioso che una parigina di Belleville, di questo conservatorio dell’amore, abbia preferito il duro e tenebroso, baffi folti, le ruvide maniere e l’assenza di galanteria, alla gentilezza, al sorriso, ai capelli più biondi che bruni, ai baffi sottili, ai modi gentili, insomma al tipo d’uomo al quale corrisponde Manda…“
Perchè Leca ha il classico fascino del duro e tenebroso tipo Johnny Depp in “From Hell” per intenderci, e questa cosa fa impazzire le donne già all’epoca.
Anche il corso è a capo di una banda, che si fa chiamare “Popincourt” (traducibile in italiano come “Pellerossa”) che naturalmente è la rivale numero uno dei “Les Orteaux”, capeggiata da Manda. Il resto poteste immaginarlo ma ve lo racconto lo stesso, perché merita.
Dicevamo, scoprendosi innamorata persa, Amélie ci mette un nano secondo ad abbandonare “le roi”, che naturalmente non la prende bene – anche se pare che quest’ultimo avesse avuto a sua volta una breve liaison con Pantera, ma sono solo pettegolezzi – per cui i presupposti per vendicare l’onore iniziano a prendere la forma di un cane rabbioso. Di lì a poco scoppia una guerra tra bande dettata dall’amore per la stessa donna, che balzerà alle cronache come “La battaglia degli Apache”.
Una notte, dopo averlo beccato in un vicolo buio, Manda accoltella Leca mandandolo quasi al creatore. Ma il corso, non avendolo riconosciuto, non se la sente di denunciare l’accaduto alla polizia e poi non è che lui sia proprio un santo, mettersi tanto in luce potrebbe incasinarlo non poco.
Non contento, “homme” ci riprova attaccando la coppia presso l’hotel in cui si sono stabiliti temporaneamente. Fortunatamente in quella circostanza nessuno si fa male, ma è lì che Leca capisce che – forse eh! – quello che aveva tentato di ammazzarlo la prima volta era in realtà l’ex amante della sua compagna. Così dichiara ufficialmente guerra a tutti i Les Orteaux dando luogo, appena una settimana dopo, a un vero e proprio duello tra pistoleri in pieno giorno. Ancora una volta a soccombere è Leca, che ne esce con due proiettili di rivoltella al braccio destro.
Viene portato all’ospedale, medicato e interrogato nuovamente dalla polizia. Ma il nostro “wild boy” opta ancora per il silenzio perché vuotare il sacco sarebbe come chiudere definitivamente la faccenda. E invece la sua vendetta dovrà essere molto più lenta e crudele. Ed è ancora lì che brama quando, dimesso dalla struttura e in procinto di salire sul taxi che lo deve riportare a Charonne, gli uomini di Manda tentano nuovamente di accoltellarlo. E daje uno e daje due e daje tre, stavolta Leca si incavola di brutto e cerca di inseguirli intenzionato a sterminarli tutti non riuscendo, però, neanche a raggiungerli per via delle numerose ferite, vecchie e nuove.
La vicenda Manda-Leca, intanto, continua a fare notizia a Parigi. Un giornalista di “Le Petit Journal” Arthur Duphin, scrive indignato:
“Sono queste le usanza degli Apache, letteralmente abitudini da Far West, indegne della nostra civiltà. A metà pomeriggio, nel cuore di Parigi, due bande rivali si sono affrontate a suon di coltelli e rivoltelle fino quasi ad ammazzarsi e tutto soltanto per una donna. Una bionda con lo chignon pettinata come un cagnolino!”
E se è vero che tra i due litiganti il terzo gode, cosa fa intanto la bionda mentre in piazza si scannano per il suo amore? Recita e canta a teatro, naturalmente!
Considerata ormai una romantica eroina della discordia, una sorta di Elena di Troia moderna, viene scritturata per un’opera pensata appositamente per lei che andrà presto in scena al Théatre des Bouffes du Nord. Intanto il commissario Deslandes, a cui vengono assegnate le indagini, interroga di nuovo Leca che a quel punto, vuota il sacco e fa finalmente il nome di Manda. Dopo una breve latitanza in Inghilterra, nel 1902 “le roi” viene arrestato e portato davanti al giudice, al quale dichiara di essere stato spinto da Amélie in persona a compiere tutti quei reati. E allora, durante una sessione di prova del brano che, è sicuro, la consacrerà alla storia del varietà francese, la donna viene prelevata dalle forze dell’ordine ancora con lo spartito in mano, per essere scortata fino al carcere di Saint-Lazare.
Un conte spagnolo amico del giovane re Alfonso XIII, offre 300mila franchi di cauzione in cambio della sua libertà. È ovviamente pazzo di lei e, se avanzi o meno una ricompensa in cambio, non ci è dato saperlo. Amelie viene comunque scarcerata prima perché, intanto, Manda si è rimangiato tutto: ha mentito, dice, perché annebbiato dalla gelosia per quella creatura meravigliosa. Lui invece resta in cella.
La stampa si precipita a intervistare i due amanti liberati dal terzo incomodo, pittori e fotografi chiedono a “Casco d’Oro” di posare per loro. La giovane coppia si ritrova a sfruttare questa popolarità inaspettata campando di rendita per un po’ ma, purtroppo, la quiete dura poco. La guerra tra le due bande continua e Leca ferisce in malo modo alcuni degli uomini di Manda. È costretto a scappare in quanto ricercato, ma viene catturato in Belgio poche settimane dopo e rimpatriato in Francia, dove viene condannato ai lavori forzati.
È il 1903, e i due capobanda vengono trasferiti nella stessa prigione della Guyana francese. E se state pensando che qui riusciranno a seppellire l’ascia di guerra per diventare due culi in un paio di braghe, ve lo dico prima, vi sbagliate di grosso.
Leca, che stavolta si dimostrerà ben più scaltro del rivale, un bel giorno riesce a scavalcare le mura carcerarie – probabilmente aiutato da qualche guardia a cui aveva fatto qualche favore – e si dà alla fuga, finendo a vivere da latitante per il resto dei suoi giorni. Manda verrà liberato solo nel nel 1922 ma con l’obbligo di rimanere in Guyana, dove morirà, probabilmente di sifilide, nel 1936. Gli scontri tra le bande, invece, non cesseranno ancora per parecchio.
Prima avevamo accennato al fatto che Amelie avesse iniziato una carriera nel teatro. Una delle sue battute recitava così:
“Una donna per la quale uomini come Manda e Leca, capi dei Caraibi e dei Pellerossa, si mettono a fare a coltellate in pieno giorno, e solo per lei… allora lei, cioè io, beh, io dico che questa donna è un’artista!”
Nel 1902, la giovane e ancora affascinante bionda è alla vigilia del suo debutto in un varietà che dovrebbe chiamarsi “Casque d’Or et les Apaches”. Uso il condizionale perché il prefetto di Parigi, a poche ore dalla prima, impone ai gestori del Théatre des Bouffes du Nord di eliminare definitivamente lo spettacolo dal calendario per evitare problemi d’ordine pubblico. Amélie protesta forte, gridando ai giornalisti che lei si deve esibire, che quella sarà un’imperdibile opportunità di rivalsa umana e sociale.
“Casque d’Or est una légende!” grida. Ma gli appelli accorati non hanno seguito e il progetto viene definitivamente accantonato.
Intorno agli anni dieci, la donna torna al suo antico mestiere anche se ogni tanto riesce a ritagliarsi qualche piccolo spazio nel mondo dello spettacolo. Si esibisce, ad esempio, come domatrice di leoni in qualche piccolo circo di periferia, ruolo che le varrà il nomignolo di “Casque d’or la tigresse”.
Nel 1913 incontra un giovane calzolaio di nome André Nardin, un lavoratore instancabile dal temperamento assai mite con il quale convola a nozze con rito civile il 27 gennaio 1917. Gli alleverà tutti e quattro i nipoti e assieme apriranno una piccola attività di calzaturificio nei mercati di Montreul e Les Lilas, riuscendo a vivere in maniera tutto sommato dignitosa per diversi anni, ed ecco che siamo ai titoli di coda di questa lunga storia fatta di amori e vendette, e di soprannomi complicati!
Amélie Élie muore – ufficialmente di tubercolosi ma si sospetta di sifilide – nel 1933 a soli 55 anni, lasciando in eredità le cronache di anni folli e spericolati. Appena un ventennio dopo, nel 1952, il cinema la renderà immortale grazie alla pellicola “Casque d’Or” ispirata alla sua vita, che avrà un discreto successo.
Nel 20° arrondissement, una targa posta all’ingresso di un grazioso giardinetto a lei dedicato recita: “Amélie Élie detta Casco d’Oro, giovane donna romantica. Eroina del film di Jacques Becker”.
Una donna passata per l’inferno, dal quale è resuscitata facendo della caricatura di se stessa un vero e proprio esempio per chi, come lei, dalla vita non aveva avuto niente. E che, dalla vita, poi si era presa tutto.
Diplomata in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo all’Accademia di Belle Arti, realizza accessori artigianali ed è grafico per l’editoria. “Creo amuleti magici, bambole di pezza e mondi paralleli. Credo nella reincarnazione: ho vissuto in almeno quattro epoche prima di approdare qui. Dai miei viaggi nel tempo estraggo nettare di primissima qualità.”
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